The father

Anthony Hopkins si prende il secondo Oscar in carriera con questo film ma gliene dovevano dare almeno altri due o tre, il suo lavoro attoriale è assurdo: le movenze, le microespressioni, i movimenti delle mani, gli sguardi furtivi...
Sul suo volto si leggono tutti gli stati d'animo.
Un mimetismo innato affinato dal mestiere, veramente incredibile.
Lui non sembra malato, E' malato, quando invoca la mamma sembra che si rimpicciolisca, le mani si attrappiscono diventa bambino, anzi E' bambino.
Una prova attoriale gigantesca.
Il film lo asseconda con una storia nella quale vieni precipitato dentro una realtà che non funziona, un mondo di ombre, di vuoti, di volti che scompaiono e appaiono con altre fattezze, case nelle quali cambiano gli arredi, le sedie, i quadri, non c'e' nulla a cui appigliarsi.
Con la felice intuizione di impostare il tutto come un thriller.
Sembra Ubik di P. K. Dick quando al protagonista gli viene cambiata la realtà sotto agli occhi. A un certo punto nello scambio di persona sulla figlia mi è parso improvvisamente di essere dentro "Quell'oscuro oggetto del desiderio" di Bunuel.
Alla fine tutti fuggono e si rimane soli, nella solitudine della mente e del corpo.
Lo stratagemma narrativo dell'immedesimazione è brutale e funziona, bravi anche gli altri attori.
E’ molto doloroso... un film che fa molto male e ci interroga profondamente sulla malattia.
Hopkins titanico.
Film da vedere ma è un bel pugno nello stomaco.