Labirinto di morte

Labirinto di morte
Photo by Susan Q Yin / Unsplash

Labirinto di morte [A Maze of Death] (1970) – Philip K. Dick

Continua la mia personale esplorazione dell’universo “dickiano” con questo libro che decisamente tra i più riusciti, cupi e pessimisti.
Non c’è scampo per i protagonisti di questo romanzo scritto in modo piuttosto conciso e agile, non c’è modo di sfuggire al proprio destino, e quindi l’unico modo per non pensare alla propria condizione di topi in trappola, è fuggire in un mondo totalmente fittizio e virtuale.

Tema centrale e topos per eccellenza nella narrativa di Dick, qui non si raggiungono le ricercatezze di Ubik o delle “Stimmate”, pur trattando tematiche simili se non esattamente le stesse viste da diversa angolazione.
E’ un romanzo molto asciutto ma non manca di una riflessione amara, anzi amarissima e angosciante sul genere umano e sulla sua inutile parabola verso l’unico destino comune da condividere: la propria finitezza.

Questa volta ancora più triste e cupa in quanto vissuta come un’attesa durante la quale non si può far nulla se non aspettare, condannati a girare a vuoto da un destino crudele e proprio per questo costretti a fuggire verso mondi fittizzi e artificiali.
Senza disvelare troppo di una trama che contiene un piccolo elemento sorpresa, Dick ci lascia così alla fine con questa analogia, con questa simmetria che coinvolge i protagonisti del libro e un po tutto il genere umano.

Un libro da leggere per chi vuole approfondire il mondo di Philip Dick e le sue intuizioni così anticipatrici di tanta letteratura e cinema successivi.