La questione dei fatti (By: Tim Harford)
Traduzione libera dell’articolo pubblicato sul sito dell’autore e sul Financial Times
1.
Nel 1953, appena prima di Natale, i boss delle più importanti compagnie di tabacco statunitensi si incontrarono con John Hill, fondatore e presidente di uno dei maggiori studi di pubbliche relazioni, Hill & Knowlton. Nonostante la suggestiva cornice — il Plaza Hotel, con vista su Central Park a New York — l’atmosfera era di drammatica crisi. Gli scienziati stavano pubblicando solide prove di una connessione diretta tra fumo e cancro. Dal punto di vista dei produttori di tabacco, una delle preoccupazioni più grandi era che la rivista più letta, il “Reader’s Digest” aveva già scritto di queste prove in un articolo del 1952, “Cancer by The Carton”. Il giornalista Alistair Cooke, nel 1954 aveva previsto che la pubblicazione di uno dei prossimi grossi studi scientifici su fumo e cancro, avrebbe potuto rappresentare la fine dell’industria del tabacco.
E invece tutto ciò non accadde. Il Guru delle pubbliche relazioni John Hill aveva un piano e il piano — con il senno di poi — si rivelò tremendamente efficace. Nonostante il fatto che il loro prodotto desse dipendenza e fosse mortale, l’industria del tabacco fu capace di respingere la regolamentazione del settore, le cause intentategli e sopratutto allontanare efficacemente l’idea dalla mente di molti fumatori che il tabacco potesse essere fatale.
Per decenni.
Questa strategia fu così vincente nel procrastinare all’infinito il “giorno del giudizio” che le loro tattiche sono state largamente imitate fin da allora. Hanno ispirato anche un fiorente settore del mondo accademico che ha indagato sul come questi trucchi sono stati messi in atto. Nel 1995 Robert Proctor, uno storico della Stanford University che ha studiato il “caso tabacco” da vicino, ha coniato la parola “AGNOTOLOGY”. E’ lo studio sul come viene deliberatamente ingenerata l’ignoranza; l’intero campo è stato messo in moto dalle osservazioni di Proctor riguardo le industrie della “Big Tobacco”. I fatti sul fumo — oggettivi e provenienti da fonti indiscutibili — non hanno resistito un giorno. I fatti oggettivi sono diventati soggettivi. Le fonti indiscutibili sono diventate discutibili. I fatti, si è scoperto, sono importanti, ma i fatti non sono abbastanza per convincere, in questo tipo di contesa.
2.
l’ “agnotologia” non è mai stata così importante. “Viviamo nell’età dell’oro dell’ignoranza”, dice Proctor oggi. E Trump e la Brexit sono parte di questo. Nel referendum in UK, la fazione per il “leave” insisteva sulla falsa rivelazione che l’UK inviasse 350 milioni di sterline settimanalmente all’UE. E’ veramente difficile pensare a un precedente esempio nel mondo politico occidentale di una campagna condotta su una così trasparente falsità, mantenuta anche se confutata da esperti indipendenti e portata al trionfo in ogni caso. Questa performance è stata presto eclissata da Donald Trump che ha offerto giorno dopo giorno, massicce dosi di dimostrabili falsità, solo per essere alla fine ricompensato con la Presidenza. Il dizionario Oxford riporta come parola importante del 2016: “post-truth” (post-verità Ndt). Sembra che i fatti non siano più importanti.
La reazione istintiva di quelli tra noi che ancora tengono alla verità — giornalisti, accademici e tantissimi cittadini comuni — è stata di raddoppiare l’impegno per rimanere ai “fatti”. Organizzazioni di “fact-checking” come “Full Fact” in UK e “politifact” negli USA valutano le dichiarazioni di spicco di politici e giornalisti. Devo confessare qui un particolare “bias” personale: ho lavorato come “fact checker” io stesso sulla radio, nel programma della BBC “More or Less” e spesso mi sono basato su siti web di fact-checking. Questi giudicano le notizie esprimendosi nettamente su ciò che è vero, senza falsa imparzialità come la tradizione giornalistica vorrebbe (riportare i punti di vista fedelmente in modo non critico). Il controllo dei fatti, pubblico e trasparente è diventato una caratteristica della cronaca politica al punto che è facile dimenticare che è una attività esistente a malapena da un decennio.
Anche i giornalisti mainstream stanno abbracciando l’idea che le menzogne o gli stessi errori, debbano essere identificati facilmente.
Consideriamo la storia sul sito di NPR (National Public Radio) riguardo il discorso di Trump alla CIA in Gennaio: “ha falsamente negato ai aver mai criticato l’agenzia, falsamente gonfiato le cifre della folla presente al giuramento”… Si tratta di un forte allontanamento dalle norme del giornalismo americano, ma allo stesso tempo il presidente Trump ha compiuto anch’esso un allontanamento simile dalle norme della politica americana.
Anche Facebook si è impegnato nel “fact checking” annunciando una stretta sulle “fake news” che stanno diventando numerose sul suo network dopo l’elezione. Facebook oggi consente di segnalare le bufale. Il sito invia le notizie discutibili a “fact checkers” indipendenti che segnalano queste storie come “contestate” e magari posizionandole in basso nell’algoritmo che decide cosa deve leggere ogni utente collegandosi al sito.
Abbiamo bisogno di un qualche “patto” sui fatti o la situazione sarà ben presto disperata. E ancora: questo focus sui fatti attualmente porta a un elettorato sempre più informato, a prendere decisioni migliori, e un rinnovato rispetto per la verità? La storia dei produttori di tabacco ci racconta una realtà diversa.
Il legame tra sigarette e cancro è stato condiviso dai più importanti scienziati e medici e, nel 1964, dal capo esecutivo (Surgeon General of the United States) della sanità pubblica [The 1964 Report on Smoking and Health]. La cosa fu raccontata da giornalisti esperti impegnati a rispettare il senso dell’obiettività. Eppure i lobbisti del tabacco continuavano la loro opera indefessa.
Nel 1950 e 1960 i giornalisti avevano ancora delle scuse da accampare per le loro titubanze: le tattiche dell’industria del tabacco erano complesse, nuove e molto intelligenti. Per prima cosa si assicurarono di apparire molto impegnati sul problema promettendo una ricerca tecnologica di alto livello in merito. La seconda cosa fu di complicare la questione e sollevare dubbi: il tumore al polmone poteva avere tantissime altre cause dopotutto. E se non era cancro ai polmoni sarebbero state davvero le sigarette le colpevoli? La terza cosa fu di screditare la ricerca seria e le competenze. I dettagli autoptici demansionati a racconto aneddotico, il lavoro epidemiologico come puramente statistico e gli studi sugli animali come sostanzialmente irrilevanti. Finalmente avvenne la normalizzazione: l’industria riuscì a far sì che la questione tabacco/cancro fosse percepita come vecchia e stantìa. I giornalisti non avevano magari qualcosa di nuovo e interessante da raccontare?
Questo tipo di tattica adesso è ben documentata e i ricercatori hanno esaminato con attenzione quali debolezze psicologiche vengono usate come leve. Quindi, attualmente, dovremmo essere in grado di individuare la loro ricomparsa sul campo della battaglia politica.
Jon Christensen, un giornalista diventato professore all’Università della California che ha scritto un notevole studio nel 2008 sul modo in cui l’industria del tabacco riuscì a mettere alle corde la grande tradizione giornalistica, ha anche aggiunto: “é come se il team del Presidente (Trump) stesse usando quel metodo punto per punto”.
In un perverso memo interno [Smoking and Health Proposal] della Brown & Williamson (compagnia del tabacco) scritto nell’estate del 1969 si scriveva molto chiaramente “il dubbio è il nostro prodotto”. Perché? Perché il dubbio “è il miglior mezzo per competere con i fatti che esistono nella memoria della pubblica opinione. E’ anche il mezzo principale per cominciare a stabilirne la contestazione”. Il mantra della “Big Tobacco”: tenere viva la polemica.
Il dubbio non è affatto difficile da produrre, e i fatti da soli non sono sufficienti a dissiparlo. Avremmo dovuto aver già imparato questa lezione, adesso ci toccherà impararla di nuovo.
3. E’ rassicurante pensare di poter combattere le bugie con i fatti, ma ci sono tre ordini di problemi in questa strategia. Il primo è che una semplice menzogna può facilmente battere una serie complicata di fatti essendo immensamente più semplice da capire e ricordare. Quando il dubbio prevale, la gente finisce spesso per credere a qualsiasi cosa gli rimanga in testa con facilità. Nel 1994 gli psicologi Hollyn Johnson e Colleen Seifert condussero un esperimento [Sources of the Continued Influence Effect: When Misinformation in Memory Affects Later Inferences] nel quale delle persone dovevano leggere il resoconto di un incendio e l’esplosione di un magazzino. Il resoconto faceva menzione di barili di petrolio e vernice ma in seguito spiegava che il petrolio e la vernice alla fine non erano stati rinvenuti sulla scena. I soggetti interrogati in proposito ricordavano effettivamente che la vernice non era davvero presente sul posto ma quando gli fu chiesto di spiegare i fatti relativi all’incendio (sul perché ci fosse così tanto fumo) menzionarono la vernice. In mancanza di una spiegazione alternativa tornarono di nuovo su una affermazione che avevano già riconosciuto come errata.
Una volta ascoltata una affermazione errata non possiamo far finta semplicemente di non averla ascoltata.
Questo dovrebbe metterci in guardia sul non rilanciare a nostra volta falsità e confutazioni a seguito. Molti studi hanno dimostrato che ripetere una falsa affermazione anche in un contesto di “debunking” e confutazione della stessa, permette a questa falsità di di imprimersi più a fondo nella coscienza collettiva. Il “debunking” delle falsità e dei miti sembra funzionare nel breve periodo ma poi nella memoria svanisce ogni spiegazione e rimane solo il mito. Il mito, dopotutto, è quella cosa che continua ad essere ripetuta e trasmessa nel tempo. Nel tentativo di dissipare le falsità le infinite propagazioni involontarie delle stesse, semplicemente rendono l’incantesimo più forte.
Consideriamo per un momento, dopo quanto appena detto, la famigerata pubblicità per la campagna del “leave” appesa sui Bus in U.K.: “Inviamo alla UE 350 milioni di sterline alla settimana”.
Semplice. Memorabile. Falsa.
Ma come confutarla?
Uno degli sforzi tipici in merito da parte del giornale “The Guardian” era intitolato: “Il perché l’affermazione che l’UE costa 350 milioni di sterlina alla settimana è falsa”, ripetendo la falsità prima di dedicare centinaia di parole a dettagli complicati e definizioni da dizionario del verbo “Inviare”. Questa sorta di articolo in stile “fact-checking” è prezioso per un collega giornalista che necessita una esposizione dettagliata delle questioni con rimandi e collegamenti complessi. Ma il normale cittadino votante probabilmente riceve questo messaggio: “non puoi fidarti dei politici ma sembra che in effetti stiamo inviando un sacco di soldi alla UE”. Il dubbio instillato dalla campagna del “leave” sembra funzionare proprio bene.
Questa è una vulnerabilità insita nel campo del fact-checking. Coloro che lavorano per la verità hanno ragione a scrivere in modo particolareggiato per non tralasciare nessun dettaglio e dimostrare tutto il loro lavoro. Ma è proprio per questo che questo lavoro importantissimo può essere solo una parte di un lavoro ancora più grande se vogliamo assicurarci che la verità sia ascoltata.
Andrew Lilico, uno dei proponenti della campagna del “leaving” mi ha raccontato — durante la campagna stessa — che avrebbe voluto che sui Bus ci fosse stata una affermazione più difendibile, come per esempio: “250 milioni invece di 350”. Ma poi si è reso conto che l’affermazione fasulla era anche la più efficace. “In termini cinici l’utilizzo dei 350 milioni era perfetto”, ha detto, “ha creato un tranello nel quale gli attivisti per il Remain sono caduti più e più volte”.
Proprio così. Ma non solo gli attivisti del “Remain”: anche i giornalisti esperti di fact-checking, me stesso incluso. La spudorata menzogna era immensamente più potente di come avrebbe dovuto essere la verità, non perché più grande, ma perché tutti quanti continuavano continuamente a parlarne.
Proctor, lo storico della industria del tabacco, diventato agnotologista, avverte di un simile effetto negli USA: “i fact-checker possono diventare il cagnolino di Trump, dandosi da fare intorno a lui come un fattorino che controllano quello che dice. Ma se perdi tutto il tuo tempo nel controllare cosa dice l’avversario, allora cosa stai facendo in realtà?”
4. C’e’ una seconda ragione sul perché i fatti non sembrano avere l’attrattiva che speriamo. I fatti possono essere NOIOSI. Il mondo è pieno di cose che richiedono la nostra attenzione, dai reality TV ai propri figli problematici, dall’amico su Instagram alla dichiarazione dei redditi. Perché perdere tempo con qualcosa di così noioso come i “fatti”?
L’anno scorso tre ricercatori — Seth Flaxman, Sharad Goel e Justin Rao — hanno pubblicato uno studio [Filter bubbles, Echo Chambers, and Online News Consumption] su come la gente legge le news online. Lo studio era principalmente una inchiesta sulla polarizzazione delle fonti delle notizie. I ricercatori hanno cominciato su una base utenti internet di 1,2 milioni ma hanno finito per esaminarne soltanto 50.000. Perché? Perché solamente il 4% del campione leggeva abbastanza seriamente le notizie da meritare di essere incluso nello studio (il minimo richiesto erano dieci articoli e due editoriali in tre mesi di tempo). Molti opinionisti temono che ci stiamo rinchiudendo in una sorta di “bolle” ideologiche esponendoci alla lettura soltanto di coloro che la pensano esattamente come noi. C’e’ effettivamente qualcosa di vero in questo. Ma il 96% dei navigatori del web appartengono a una unica “bolla” secondo la quale non ha nessuna importanza la polarizzazione politica (destra/sinistra) quanto piuttosto il semplice assunto: “non rompetemi le scatole con le notizie”.
Nella guerra delle idee la noia e i diversivi sono armi potentissime. Un recente studio [How the Chinese Government Fabricates Social Media Posts for Strategic Distraction, not Engaged Argument] sulla propaganda cinese ha esaminato la tattica dell’esercito di commentatori stipendiati pro-governo (conosciuti come “l’esercito dei 50 cent” in riferimento a quanto verrebbero pagati per ogni post). I ricercatori, Gary King, Jennifer Pan e Margaret Roberts, concludono: “nessuno di questi commentatori a libro paga scrive per impegnarsi in un dibattito o argomenta in qualsiasi modo… l’obiettivo strategico del regime è quello di distrarre e portare altrove l’attenzione del pubblico”.
Trump (una star da reality TV) conosce perfettamente l’importanza della distrazione piacevole e divertente: semplicemente attaccare briga con Megyn Kelly, il New York Times or Arnold Schwarzenegger non è molto più accattivante di una discussione sulla riforma sanitaria?
L’industria del tabacco capì profondamente questo punto anche se perseguì un approccio più intellettuale nel generare diversivi e distrazioni.
Stanley Prusiner è un neurologo. Nel 1972 era un giovane ricercatore che aveva appena incontrato un paziente affetto dal morbo di Creutzfeldt-Jakob. E’ una terribile condizione degenerativa che si pensava fosse causata dalla lenta azione di un virus. Dopo anni e anni di studi, Prusiner concluse che la malattia era causata invece da un tipo di proteina alterata nel suo funzionamento. L’idea all’epoca sembrò assurda agli occhi della maggior parte degli esperti e la carriera di Prusiner cominciò a profondare. Promozioni e borse di ricerca, cominciarono a scarseggiare. Ma Prusiner ricevette risorse e fondi dal settore privato che gli consentirono di continuare il suo lavoro. Venne successivamente ricompensato nel modo più eclatante possibile: con il premio Nobel per la medicina, nel 1997. Nell’estratto del suo autobiografico percorso sul sito ufficiale del Nobel Price, Prusiner ringrazia tra i suoi benefattori del settore privato per il loro supporto cruciale: RJ Reynolds, creatore delle sigarette Camel.
L’industria del tabacco è stata generosissima fonte di fondi di ricerca e Prusiner non è stato il solo scienziato a ricevere sia fondi dalla “big tobacco” che il premio Nobel. Proctor calcola almeno 10 premi Nobel in questa posizione. Bisogna essere chiari: non si tratta di una sorta di corruzione. Secondo Proctor si tratta di una cosa molto più subdola. “L’industria del tabacco è stata la principale finanziatrice di ricerche sulla genetica, sui virus, sull’immunologia, inquinamento dell’aria”, dice Proctor. Praticamente quasi tutto ECCETTO il tabacco. “Si è trattato di un massiccio ed enorme progetto di ricerca di distrazione di massa”. Questi fondi hanno anche consentito alla Big Tobacco di costruirsi una reputazione di industria dedita alla collettività e al bene pubblico, ma Proctor ritiene che il principale obiettivo era di stimolare la nascita di nuove scienze speculative. La malattia di Creutzfeldt-Jakob è molto rara, ma è una novità eccitante. Le malattie connesse al fumo come il tumore al polmone e i problemi cardiaci non sono nulla di nuovo sotto il sole.
Lo scopo finale di questi diversivi è di far si che le questioni di vitale importanza diventino troppo noiose per meritare di essere segnalate. Proctor descrive tutto questo come “l’opposto del terrorismo” e cioè il trivialismo. Il terrorismo provoca una enorme reazione nei media, il fumo no. Eppure il fumo, secondo le autorità sanitarie degli USA, uccide 480 mila americani all’anno. Si tratta di più di 50 morti ogni ora. Il terrorismo non uccide così tanto in un anno. Ma il terrorismo ha la meglio nel conquistarsi i titoli dei giornali, il “trivialismo” ha la meglio nell’evitare i titoloni.
I lobbisti dell’industria tabacchiera sono particolarmente esperti nel persuadere i media a minimizzare o nascondere le notizie sui danni del fumo. “Quel disco è rotto”, dicono, “non abbiamo già sentito le stesse cose ripetutamente?”.
Gli osservatori esperti di queste tattiche di Big tobacco adesso temono che Trump possa raggiungere gli stessi risultati. Alla fin fine, la gente non comincerà ad annoiarsi e sbadigliare a questo spettacolo? Jon Christensen, alla UCLA ha detto: “penso che si tratti della più spaventosa prospettiva”.
Daltronde, continua Christensen ci salva solo il fatto che per il presidente degli USA è praticamente impossibile non fare notizia. La lobby del tabacco, come il governo Cinese hanno dimostrato una grande abilità nel riuscire a far puntare la luce dei riflettori altrove. Ci sono ragioni che fanno credere che questo sarà un po più difficile per Trump.
5. Esiste un problema finale nel cercare di persuadere la gente semplicemente porgendogli dei fatti: la verità può farci sentire in pericolo e spaventare la gente, tende ad essere controproducente. “Le persone rispondono andando nella direzione opposta“ afferma Jason Reifler uno studioso di politica alla Exeter University. Questo “effetto contrario” è il focus di svariate ricercatori incluso Reifler e il suo collega Brendan Nyhan della Dartmouth.
Nel 2011, Nyhan, Reifler e altri condussero uno studio [When Corrections Fail: The persistence of political misperceptions]su campioni casuali di popolazione nei quali genitori di bambini piccoli sono stati messi a conoscenza di informazioni scientifiche che scardinavano l’immaginaria ma largamente diffusa credenza che ci sia un legame tra vaccini ed autismo. A prima vista i fatti si sono rivelati persuasivi: i genitori che si sono informati erano meno inclini a credere che i vaccini potessero causare l’autismo. Ma i genitori che erano già sospettosi riguardo ai vaccini erano comunque meno disponibili ad accettare il fatto di vaccinare i propri figli NONOSTANTE il fatto che apparentemente avessero compreso e creduto ai fatti esposti.
Cosa era successo? “Le persone accettavano le informazioni correttive ma resistevano attraverso altre vie” dice Reifler. Una persona che si sente ansiosa sulle vaccinazioni sarà sempre inconsciamente spinta a resistere alle nuove informazioni richiamando alla mente tutte le altre ragioni opposte che gli fanno sentire come sbagliata l’idea di vaccinarsi. La paura dell’autismo può regredire, ma tutte le altre paure (comprese le più irrazionali) diventeranno più forti di prima.
E’ facile comprendere come questo possa essere applicato in chiave politica. Diciamo che tu sei preoccupato sul fatto che l’UK sarà presto sommersa da immigrati Turchi perché un militante pro Brexit ti ha detto (falsamente) che la Turchia presto entrerà nella UE. Un fact-checker potrà spiegarti che questo non è probabile ne’ immaginabile in un prossimo futuro. La ricerca di Reifler suggerisce che tu accetterai selettivamente questo limitato fatto (che la Turchia non si unirà alla UE) ma che allo stesso tempo richiamerai alla mente ogni sorta di ansia al riguardo: immigrazione, perdita di controllo, prossimità della Turchia alla guerra in Siria e all’Isis, terrorismo, eccetera. La menzogna originaria è stata smentita ma la sua seduzione magica permane.
Il fatto è che mentre ci piace pensare a noi stessi come esseri razionali, la nostra razionalità non si è evoluta solo nel risolvere problemi pratici (come costruire una trappola per elefanti) ma anche nel muoversi in situazioni sociali. Abbiamo bisogno di mettere gli altri dalla nostra parte. Il ragionamento pratico è spesso orientato non tanto sul capire cosa è vero e cosa no, quanto piuttosto sul come rimanere nella giusta tribù.
Un indicatore di come la nostra logica sia ancora tribale è contenuto in uno studio del 1954 di Albert Hastorf, uno psicologo della Dartmouth e Hadley Cantril, la sua controparte in Princeton. Hastorf e Cantril proiettarono dei filmati di una partita di football tra due squadre di college. Era una partita molto combattuta. Un quarterback a un certo punto si ruppe una gamba. Hastorf e Cantril chiesero ai loro studenti di sommare i falli e valutare la loro gravità. Gli studenti della Dartmouth tendevano a sottovalutare i falli della propria squadra mentre riconoscevano immediatamente quelli della squadra avversaria (Princeton). Ovviamente gli studenti della Princeton avevano la tendenza a comportarsi in modo perfettamente speculare. La conclusione fu che nonostante gli fosse stato mostrato lo stesso filmato gli studenti delle due università non avevano visto realmente gli stessi eventi. Ogni studente aveva la sua propria percezione strettamente conformata al senso di lealtà alla propria tribù. Il titolo della ricerca fu: “They saw a game”.
Un più recente studio ha ripreso la stessa idea nel contesto di “political tribe”. I ricercatori hanno mostrato agli studenti il filmato di una dimostrazione e poi gli hanno raccontato di cosa si trattava. A un gruppo è stato detto trattarsi di una protesta di attivisti gay al di fuori di un ufficio di reclutamento, contro la politica ufficiale del “don’t ask, don’t tell”. Agli altri è stato detto che si trattava di una protesta anti-abortista di fronte a una clinica per aborti.
Nonostante stessero guardando esattamente lo stesso filmato, i soggetti dello studio avevano punti di vista nettamente diversi su ciò che stava succedendo, punti di vista formatisi attraverso le loro esperienze e visioni politiche. Gli studenti di estrazione liberali si trovavano a loro agio davanti agli attivisti gay, mentre erano preoccupati dai protestanti anti-abortisti, gli studenti con idee politiche opposte reagivano specularmente. Così come nel saggio “They saw a game”, questa differenza non riguardava principi e ideali generali, ma piuttosto aspetti specifici: i protestanti urlavano verso gli astanti? Bloccavano l’accesso all’edificio? In pratica succede che vediamo ciò che vogliamo vedere e rifiutiamo i fatti che minacciano il senso di ciò che siamo.
Quando raggiungiamo la conclusione che vogliamo raggiungere, ci impegniamo in un “ragionamento indotto”. Il ragionamento indotto è stato un potente alleato dell’industria del tabacco. Se sei dipendente da un prodotto, e molti scienziati ti dicono che è letale, ma allo stesso tempo le lobby del tabacco ti dicono che ci vuole comunque più ricerca in merito, che cosa sei portato a pensare e credere? Lo studio di Christensen a riguardo delle rivelazioni al pubblico sulla pericolosità del tabacco, mostrò come spesso i produttori trovarono presso la stampa, un atteggiamento di ascolto comprensivo proprio perché molti giornalisti erano fumatori. Questi giornalisti volevano disperatamente credere che le loro abitudini fossero benigne, rendendoli portatori ideali del messaggio delle industrie.
Persino in un dibattito inquinato dal ragionamento “indotto” ci si potrebbe aspettare che i fatti possano comunque essere di aiuto. In realtà, NON NECESSARIAMENTE: quando ci vengono mostrati dei fatti che ci mettono in discussione, finiamo per amplificare ciò che si adatta al nostro pensiero e finiamo per ignorare ciò che invece non si adatta, addirittura reinterpretandolo, se possibile. Ulteriori fatti significano più acqua al mulino del “ragionamento indotto”. Il drammaturgo francese Molière ha scritto: “uno stupido informato è ancora più stupido di un ignorante completo”. La moderna scienza sociale concorda.
Su una problematica politica viva come il cambiamento del clima, si ha come la sensazione che una informazione accurata e fondata possa unire le persone. Invece accade proprio il contrario. Come dice anche Dan Kahan, un professore di diritto e psicologia di Yale e uno dei ricercatori dello studio sulla percezione di una protesta politica. Kahan scrive: “gruppi con valori e visioni opposte finiscono per polarizzarsi di più, non di meno, se esposti a informazioni di tipo scientifico”.
Quando le persone cercano realmente la verità, i fatti aiutano. Ma quando ragionano selettivamente sulla loro identità politica, i fatti possono diventare controproducenti.
6. Tutto questo si aggiunge ad un quadro deprimente per quelli di noi che non sono pronti a vivere in un mondo di “post-verità”. I fatti sembra siano ininfluenti. Cercare di confutare una sfrontata e memorabile menzogna con un insieme dettagliato e complicato di fatti finisce per rafforzare il mito. Le importanti verità sono spesso stantie e noiose ed è facile costruirne di nuove, più coinvolgenti e semplici. Offrire i fatti alle persone può essere controproducente proprio perché questi fatti provocano una reazione difensiva in coloro che vogliono disperatamente attenersi alla loro visione del mondo. “Questo è molto triste” dice Reifler. “Viviamo in un mondo molto spaventoso e triste”.
Esiste una via di uscita da tutto ciò? Forse ce n’e’ una.
Sappiamo che la letteratura scientifica può attualmente addirittura allargare il gap tra le diverse visioni dei clan politici su tematiche quali il cambiamento climatico, cioè i liberali informati e i conservatori altrettanto informati sono più distanti nelle loro visioni che non i liberali e conservatori che sanno molto poco di scienza. Ma una nuova ricerca di Dan Kahan, Asheley Landrum, Katie Carpenter, Laura Helft e Kathleen Hall Jamieson [Science Curiosity and Political Information Processing] esplora il ruolo della curiosità scientifica piuttosto che la letteratura scientifica.
I ricercatori hanno misurato la curiosità scientifica chiedendo ai loro soggetti una serie di questioni sui loro hobbies e interessi. Ai soggetti è stata offerta una scelta di siti web da leggere per un test di comprensione. Alcuni sono andati su ESPN, altri su Yahoo Finance, Ma quelli che hanno scelto “Science” dimostravano curiosità verso le scienze. Le persone curiose su argomenti scientifici sono anche quelle che sono più felici di seguire un documentario in tv piuttosto che una trasmissione di gossip. Come giustamente ci si aspetta in questi casi, esiste una correlazione tra la conoscenza scientifica e la curiosità verso le scienze, anche le se le due misure sono distinte.
Ciò che Kahan e i colleghi hanno trovato, sorprendentemente, è che mentre il ragionamento politicamente indotto batte la conoscenza scientifica, all’opposto la curiosità scientifica sembra negare il ragionamento politicamente indotto. Coloro che hanno avuto una formazione scientifica tenderanno ad essere più polarizzati sulle questioni politiche con connotazioni scientifiche. Non però per le persone curiose a riguardo della scienza. I ricercatori pensano che le persone curiose hanno una ragione extra per cercare i fatti: provare il piacere di contemplare intuizioni sorprendenti sul modo in cui funziona il mondo.
Quindi, come possiamo incoraggiare la curiosità?
E’ praticamente impossibile che la riforma bancaria o la reversibilità dell’art. 50 siano più interessanti del football, di Games Of Thrones o di come cucinare torte. Ma sembra che siamo chiamati a questo tipo di missione. “Abbiamo bisogno di inserire le persone nella storia, nella narrativa scientifica dell’umanità, per mostrargli come funziona la scienza”, dice Christensen.
Noi giornalisti e secchioni di politica non possiamo forzare ognuno a prestare attenzione ai fatti. Dobbiamo viceversa trovare una strada per far si che siano le persone stesse a volerli cercare. La curiosità è il seme dal quale cruciali decisioni democratiche, possono crescere. Sembra essere una delle sole cure per il ragionamento politico indotto, ma è anche, in questa storia, la cura per una società nella quale la maggior parte delle persone non presta attenzione alle informazioni perché le trova noiose o confusionarie.
Ciò di cui abbiamo bisogno sono dei nuovi Carl Sagan o David Attenborough della scienza sociale (noi abbiamo Angela padre e figlio! Ndt), qualcuno che possa creare un senso di meraviglia e fascinazione non soltanto sulla struttura del sistema solare o sulla vita nella foresta tropicale, ma anche sulle opere della nostra stessa civiltà: salute, migrazioni, finanza, sistema educativo e diplomatico.
Uno dei candidati avrebbe potuto essere il dottore svedese e statistico Hans Rosling, morto lo scorso febbraio. Egli riuscì a raggiungere un pubblico sorprendentemente ampio con quelli che erano, nell’immaginario collettivo, solo delle semplici presentazioni di dati ufficiali della Banca Mondiale.
Ha impostato il suo lavoro raccontando alle persone i fatti che “descrivono il mondo”. Ma i fatti hanno sempre bisogno di un testimone, di un campione. I fatti raramente emergono da soli, hanno bisogno di qualcuno che ne abbia cura, che riesca a renderci curiosi su di essi. E’ quello che Rosling ha saputo fare. E di fronte alla possibilità apocalittica di un mondo in cui i fatti non contano, questo è l’esempio che dobbiamo seguire.
Bibliografia e riferimenti:
- Cancer by The Carton (Alistair Cooke)
- Agnotology (definition)
- Post Truth (definition)
- The 1964 Report on Smoking and Health (Surgeon General of the United States)
- Smoking and Health Proposal (Brown & Williamson)
- Sources of the Continued Influence Effect: When Misinformation in Memory Affects Later Inferences (Hollyn Johnson e Colleen Seifert)
- Filter bubbles, Echo Chambers, and Online News Consumption ( Seth Flaxman, Sharad Goel e Justin Rao)
- How the Chinese Government Fabricates Social Media Posts for Strategic Distraction, not Engaged Argument (Gary King, Jennifer Pan e Margaret Roberts)
- When Corrections Fail: The persistence of political misperceptions (Jason Reifler, Brendan Nyhan)
- They saw a game (Albert Hastorf, Hadley Cantril)
- Science Curiosity and Political Information Processing (Dan Kahan, Asheley Landrum, Katie Carpenter, Laura Helft e Kathleen Hall Jamieson)