Il cinema di Quentin Tarantino
Quentin Tarantino, genio e sregolatezza? Cinema imperdibile o no? Una analisi personale.

So già che mi servirà l'ombrello per ripararmi dagli insulti ma chissenefrega e poi è un po che ci penso e vorrei metterlo nero su bianco.
Quindi armatevi di pazienza e ortaggi perchè andrò abbastanza lungo.
Non è una recensione puntuale dei vari film e nemmeno un articolo da "hater", ma da sincero estimatore. Estimatore che però si rende conto che bisogna anche fare delle proporzioni.
Non dico che Quentin Tarantino sia “l’ultimo degli stronzi”, ma casomai che sia discretamente sopravvalutato.
Certo ha avuto dei grossi meriti, in un periodo nel quale un certo Cinema si era troppo impigrito o involuto, ha portato una ventata di novità e una freschezza sopratutto nei suoi primi film, che mancava.
Quello che ha imparato dal cinema lo ha imparato guardandosi le videocassette dei grandi film quando lavorava in un videonoleggio e infatti ha un enorme background cinematografico, quello che gli manca sono i mezzi culturali adeguati per elaborare tutto il cinema che ha introiettato.
Tecnicamente ha imparato come si tiene in mano la camera.
In quello è bravissimo.
Ma zero quando deve imbastire una storia, un racconto, una narrazione.
Il suo è un continuo lavoro bozzettistico, i personaggi li capisci subito: sono mere funzioni e quindi agiscono e parlano come funzioni, come oggetti monodimensionali.
Infatti fanno subito presa nell’immaginario popolare.
Sono molto pop.
E’ capacissimo di imporre anche modi di dire e di fare, frasi che si stampano nella memoria, ma questo non è che sia un pregio di per sè.
Non è che se tutti ripetono “Has Fidanken!” perché va di moda, questo significhi che “Drive-In“ sia un capolavoro.
E arriviamo ai problemi: tanto per cominciare, il cinema di Tarantino è asfittico.
Legato agli spazi stretti e al confronto.
E' tutto esercitato e legato alla tensione che chiamo "da tavolino".
Il crescendo tipico a cui segue la scarica della tensione, il sempiterno stallo alla messicana.
Narrativamente non dice praticamente nulla, non costruisce un discorso che sia uno, potrebbe essere un cinema a episodi ed in effetti per esempio Pulp Fiction quello è.

L’unico che si discosta da questa tipizzazione e’ “Jackie Brown” nel quale si sforza di dare organicità e coerenza ai suoi soliti patchworks attaccati con lo scotch.
E c’è solo un buon motivo per questo: la storia non l'ha scritta lui, si è affidato a un libro di Ellmore Leonard. Tutti i film nei qual pretende di fare tutto (compresa la scrittura) sono bellissimi visivamente, ma dei fallimenti, narrativamente parlando.
Tutti film con immagini potenti e storie inesistenti.
Un utilizzo costante di qualche scena madre e molto riempitivo intorno.
La bomba sotto il tavolino di Inglorious Basterds: togli la bomba e le divise e hai la scena nel fast food di Pulp Fiction.
Poi vabbene, ha anche il culo di trovare un attore incredibile come Waltz, grazie, hai fatto jackpot.
Però se ci si fa caso i suoi personaggi son sempre a una dimensione, bozzetti, rispondono sempre in modo prevedibile, citano frasi fatte dalla bibbia, alla fine è uno spettacolo di pupi.

In Inglorius Bastards, ci prova col discorso metacinematografico, ma fallisce proprio per l’incapacità di sorreggere un discorso piu’ grande di lui.
Gli mancano i mezzi culturali, è tutto manico. E un gran bel manico eh intendiamoci.

Il citazionismo poi rischia di invecchiare il film in modo impietoso.
20 anni dopo altre generazioni non capiscono piu’ a cosa ti stai riferendo, esattamente come oggi -giustamente- nessuno sa chi o cosa cazzo sia “Has Fidanken” (al secolo, Gianfranco D'Angelo che impartiva ordini al suo cocker).
In pratica il film si regge tutto su tre scene intorno a un tavolo oltre a quella iniziale, anche quella nel locale (proprio come la tavola calda di Pulp fiction) nel quale Quentin ci delizia con i suoi soliti "dialoghi che girano intorno” (per dirla alla Fossati), alla fine dei quali ti aspetti sempre il rilascio della tensione accumulata a suon di pallottole.
E’ un meccanismo semplice ma efficace, non lo si può negare.
Una volta va bene, due anche, poi basta, e’ il solito film, una volta in salsa Ketchup, una volta in salsa Nazi, non cambia il senso.
In generale comunque quando riconosci lo stesso meccanismo utilizzato più e più volte, è ovvio che la sua efficacia perda forza.
Questo e’ più o meno il canone o la “cifra” di Tarantino, il quale e’ ovvio che disponga di mezzi atti a girare come dio comanda (e’ mestiere), ma che vengono messi sempre a servizio di storie del tutto inconsistenti e narrativamente debolissime, poco più che pretesti.
Son bei film ma alla fine sono episodi. E’ un po come Bramieri che racconta le barzellette: son divertenti, il più delle volte, quando uno è bravo trova gli agganci tra l'una e l'altra, però alla fine ti rendi conto che manca un vero tema portante.

Personalmente mi fa tanto più incazzare, tanto più riconosco i mezzi di cui dispone. Dopo una scena fantastica ci mette accanto una minchiata colossale, ha questa abilità di mescolare merda e cioccolata, un po come il suo maestro, Sergio Leone, sempre a un passo tra il sublime e il pecoreccio. Abilità nella quale Leone si destreggiava come pochi, ma anche qui Tarantino non riesce ad arrivare a quell'equilibrio miracoloso del maestro.
E’ come quando in classe hai un allievo molto dotato ma che fa casino, non studia ed è svogliato, così ti fa dei temi dove dentro vedi tutto il talento, messo però a pezzi e bocconi, e tenuto insieme con la colla.
La dura verità è che Tarantino è uno Scorsese che non ce l’ha fatta.

Il motivo di esistere del loro cinema in qualche modo si è infossato, ripiegato su se stesso. Per Tarantino, il continuo tentativo di reiterare il classico stallo alla messicana, canonizzato e cristallizzato.
Arriviamo a 8 ful 8: sceglie addirittura di utilizzare pellicola a 70 mm e se la spara tutta nei titoli di testa. Poi il resto si svolge e muore in una catapecchia. E’ come girare con un grandangolo per mostrare quanto ce l'hai grosso ma riprendersi solo la punta della f**a. Nel momento in cui entri dentro una baita, del 70mm non te ne fai nulla.

Ora questa mia critica forse la si può accusare di essere “contenutistica”: difatti non c’è nulla di sbagliato nella forma cinema tarantiniana. Critico solo il fatto che non ci sia un discorso altrettanto importante costruito dentro.
Il cinema non si può esaurire nella sola forma.
E’ un po come una torta bellissima ma che assaggiata non ha alcun sapore.
Tarantino è l’epica del MacGuffin ma il MacGuffin di Quentin non è la valigetta e quello che gli gira intorno, ma la scena di confronto, di solito in uno spazio angusto e ristretto. Qualche esempio non esaustivo:
1. La tavola calda in Pulp Fiction con il solito saliscendi di climax/anticlimax/climax + scoppio finale
2. Il tavolo attorno a cui gira Nazi-Walz con sotto il pavimento la famiglia ebrea nascosta in Bastardi senza Gloria
3. Il tavolino nel locale affollato di nazisti sempre in Bastardi senza gloria
4. La catapecchia di 8 ful 8 dove si nasconde sotto il solito incomodo (praticamente speculare alla num. 2)
5. La villetta di Beverly Crest sulle colline di L.A. in "C'era una volta a... Hollywood"
Addirittura nella numero 4 e 5 il film tutto il film è funzionale alla scena finale, si amplia il concetto del tavolino per portarlo agli estremi e farci sopra una pellicola intera.
Mena il can per l’aia finché non ti rendi conto che voleva arrivare lì.
In "C'era una volta.." si prende oltre 2 ore prima di arrivare al dunque.
In 8 ful 8 c'è l'aggravante di prendere a male parole l’unico personaggio femminile del film (non è un problema di genere, ma la reiterazione del solito "cagna", "puttana" ecc: rende il meccanismo alla fine stucchevole e poco efficace).
Insomma, due domande te le cominci a fare e tutto ciò è male per il film, cioè quando cominci a chiederti cose durante la visione.
Ritorna in mente il dispiegarsi della carriera di Leone e del suo cinema che dopo la trilogia del dollaro, capendo di aver raschiato tutto il raschiabile, cercando una innovazione del linguaggio, supportato per altro da una sua idea di cinema ben precisa che non ha mai abbandonato, è mutato in qualcosa di diverso che lo ha portato a “C’era una volta in America” che è una summa di Leone, il suo film più ambizioso ma anche più distante dallo spaghetti-western, un tentativo importante di alzare il livello.
Questo mutamento, questa evoluzione non è mai avvenuta in Dario Argento e non avverrà mai con Tarantino.
Aspetteremo anni ma non avremo un affresco generazionale da parte di Tarantino, non ce la può fare, è fuori dalla sua portata. Gli mancano i mezzi culturali, preferisce rimanere nell’immaginario collettivo per alcune scene che funzionerebbero anche slegate dal film.

Quando ci ha provato con "C'era una volta a... Hollywood", ha di nuovo mancato l'obbiettivo, e di parecchio. In quel film continua a proporre uomini e donne monodimensionali il tutto presentato con movimenti di macchina a volte davvero strepitosi che stanno lì a disseminare il film del nulla.
Oltre due ore per arrivare alla fine dove vuole lui: il rilascio della tensione a base di massacro e lanciafiamme, con barbecue di Hippie.
Laddove un Kubrick esercitava l'ultraviolenza in una casa borghese in modo gelido e spietato, per Tarantino si tratta di pochi minuti iperrealistici che tentano di salvare lo spettatore dalla pennica in zona Cesarini, ma che sono talmente fumettistici da non lasciare alcuna emozione.
Alla fine nel suo sogno di storia alternativa, ci sono solo questi vecchi attori/cowboy imbolsiti e invecchiati, nel loro villone sulle colline che si liberano agilmente di un branco di esagitati.
Nel finale addirittura Quentin si mette nei panni del suo alter ego (DiCaprio) e finalmente viene accettato in casa del cinema con la "C" maiuscola, viene cioè invitato a casa dei vicini (Polanski/Tate). Praticamente mette in immagini il suo ingresso nella serie A, viene invitato ed entra nella casa di un regista europeo, il luogo da dove lui (e qui ha ragione) sente che si origina il cinema "serio e importante", un circolo dal quale si sente escluso.
E' il solito Quentin che ci parla di lui e passa in rassegna solo quello che sono i suoi sogni più vividi, i suoi desideri, le sue frustrazioni e ce li mette davanti, in fila, uno a uno, come un ragazzino in altri tempi ti avrebbe fatto vedere la sua collezione di figurine Panini.
Bisogna fare uno sforzo incredibile di sovrainterpretazione per vederci qualcosa di un po più profondo quando in realtà è tutto li.
Cita il suo Maestro nel titolo, spara tutte le sue cartucce e tutto quello che gli passa per la testa: le grafiche, le titolazioni, i vestiti, il decor, le auto, la moda, i vestiti, i piedi neri, le insegne, i colori, le ascelle, gli attorucoli, il jet-set, il kung fu, le musiche; mette M. Robbie a ballare e guardare se stessa in un suo film (un altro suo sogno narcisistico realizzato su schermo: Margot Robbie in quel momento è palesemente Tarantino), ma non c'è nulla dell'epicità di Leone, non sa dove andare, gira a vuoto, è Il solito uovo di Pasqua senza la sorpresa dentro, è la reificazione continua del suo immaginario adolescenziale, slegato da ogni contesto. Commette anche il grave peccato di sprecarmi un attore come Al Pacino, per non dire di Brad Pitt, un personaggio che ha il compito di fare da raccordo tra i vari quadri, un Virgilio dantesco che ci accompagna nei gironi e che rappresenta un'altro aspetto di come si vede lo stesso regista: un figaccione ageé.
Insomma, nel complesso: un mezzo disastro.

Nella lista dei piu grandi registi della storia, Quentin a mio avviso non si piazza nei primi 20. Il che non ne fa un pessimo regista anzi, ce ne sono centinaia di peggiori, però ne fa l'occasione sprecata per eccellenza. Un talento visivo messo al servizio di un ego narcisistico e onanistico.
Può andar bene a quelli a cui piacciono le emozioni forti (anche li' però alla lunga mostra la corda), ma il ragionamento rimane valido: è tutto manico e niente cervello.
Quentin è un ragazzino che si diverte (e fa anche divertire) ma non ha i mezzi culturali per proseguire un discorso serio nella direzione che pare indicare. E’ bravissimo sulle singole scene che eleva a potenza, ma sono giustapposte in modo incoerente e appiccicate insieme con lo scotch.
Ovviamente proprio perché e’ uno che i mezzi ce li ha (e li spreca), la delusione è abbastanza cocente.
Tarantino è l'eterno fanciullo, il suo immaginario non riesce mai ad uscire da quel perimetro, da quel parco giochi lì. Una volta che hai visto Le Iene e Pulp Fiction hai visto praticamente tutto Tarantino, il resto è coazione a ripetere.
Mereghetti su Pulp Fiction ci aveva visto giusto. Nonostante gli dia un voto alto, scrive: “Ma non si chiedano emozioni vere: già al secondo film c’e’ il rischio che Tarantino sia troppo innamorato di se stesso”.
Ed è così: non dirò mai che il cinema di Tarantino fa schifo (infatti non è vero) ma è esattamente quello: narcisistico, citazionista, ammiccante, furbo, pop, scoppiettante, pieno di trovate visive, elementi singoli che si stampano nella memoria.
Non dico che sia poco, ma non basta.
Il cinema non si può ridurre solo a un elenco di citazioni, non è una giustapposizione di singole scene…
E invecchiando mi pare che peggiori.
Di sicuro non c'e' più il pretesto dell'essere un "giovane autore".
E’ un immaginario il suo che non è mai diventato adulto e si è fermato all'età prepuberale. Il che va bene: se lui si balocca, due ore gli si possono pure regalare per svagarsi un po.
Popcorn e via. Il cinema è -anche- questo, pur essendoci altro, grazie al cielo.
Che poi non c'è nulla di male nel guardarsi ogni tanto le cazzate col popcorn e la birra in mano.
Ma Corbucci, Steno, Salce, Risi almeno nella commedia mettevano più onestà intellettuale... erano come cuochi che sapevano di lavorare con materie prime povere e ciononostante sapevano tirarci fuori dei piatti buoni.
Qui invece si presenta la stessa povertà di materiale di base ma con gli elementi base presentati come pepite d'oro eppure slegati tra di loro senza che diventi un piatto, un qualcosa di nuovo.
Già che ha visto tutto Sergio Leone, Quentin poteva vedersi anche un po di quei registi o metterci dentro anche un po di Monicelli diciamo, volendo rimanere agli italiani.
Se parliamo di cinema con un minimo di ambizione, si gioca un’altra partita.
L'equivoco è che Quentin le ambizioni le avrebbe anche ma non basta che le dichiari, deve supportarle con un discorso coerente.
Rimane comunque il fatto che Tarantino ama profondamente il cinema e quello che fa, su questo non ho nulla da dire.
Lo ama in modo viscerale e diretto.
Lo dice in ogni intervista e, personalmente, gli credo.
Mi piace anche che si mostri esattamente per quel cazzaro che è, senza troppi filtri.
In fondo il suo limite più grande è anche il suo pregio più grande: la sua immediatezza e genuinità anche quando non sa bene dove andare a parare.
A dirla tutta, il peggio di Tarantino è il suo fandom adorante con il quale è impossibile ragionare.
La speranza è che si affidi alla scrittura di qualcuno bravo, il che non è un male e non è nemmeno una resa, anzi. Come detto, il suo film più compiuto (Jackie Brown) è basato su un soggetto non suo.
Molti lavorano meglio quando trovano dei confini entro cui muoversi in modo da poterli sfidare, perimetri entro i quali trovare poi una via di uscita.
In fondo ci spero sempre: che esca finalmente il capolavoro di Tarantino.
Sempre annunciato e sempre disatteso...
