Cruising

Cruising

Cruising  (1980) by  William Friedkin

Una recensione a 4 mani: una buona parte del testo si deve a Susanna su una discussione di cinema in it.arti.cinema (Usenet).

William Friedkin che da poco ci ha lasciato, è uno di quei cineasti USA che ha saputo intercettare e mettere sul grande schermo, spesso inconsapevolmente, inquietudini sociali e grandi avvenimenti/sconvolgimenti contemporanei.

W. Friedkin e Al Pacino durante la lavorazione

E' uno che inquadra la realtà e la fotografa in sequenze, quasi prevedendo il futuro senza saperlo, come accade a chi ha capacità intuitiva.

Infatti accade proprio questo con "Cruising", un film difficile mai veramente capito, osteggiato in tutti i modi e che ha avuto vita complicata. Al Pacino nonostante all'inizio volesse il ruolo a tutti i costi, poi si rifiuterà palesemente di averci a che fare appena finite le riprese. Questo forse anche per le contestazioni che (caso quasi unico) cominciarono addirittura DURANTE le riprese, da parte della comunità gay di New York, gli attivisti tentarono azioni di boicottaggio di ogni tipo, alla fine il film dovette perfino essere ridoppiato per via delle azioni di disturbo effettuate durante le riprese.

Le polemiche che lo accompagnarono furono tanto furiose quanto ingiuste, il film visto oggi a mente fredda, non è tacciabile di odio verso la comunità Gay, Pacino stesso ebbe a dire che leggendo la sceneggiatura non aveva mai avuto questo sospetto.

Cruising in realtà doveva farlo De Palma, poi la palla passò addirittura a Spielberg. Lo stesso Friedkin aveva rifiutato il progetto anni prima. Poi improvvisamente decide di farlo, intuisce che sta succedendo qualcosa. Una comparsa che ha recitato nel suo "L'esorcista" e' in carcere accusato di questi strani delitti nel mondo gay di New York, lui lo va a trovare in cella e poi decide di fare il film.

Sta succedendo qualcosa di grosso, è nell'aria e ancora non ha un nome, ma lo avrà presto e fa già paura: l'AIDS.

Friedkin gira nei locali underground del Lower WestSide e a Central Park, ci mette dentro Al Pacino (che arriva da una serie di successi enormi) e fa un film blu (che è anche il colore del NYPD).
La detection e' una scusa, addirittura l'assassino non e' lo stesso ripreso nella scena del primo omicidio, ma nessuno se ne accorge. Il film non incoraggia lo spettatore a giocare con i meccanismi dello script, lo sprofonda invece su un pianeta alieno, in un universo cosi' lontano ma cosi' terribilmente reale che sembra un documentario di Ivens. (cit.)

Friedkin è uno che intuisce e annusa le cose: mentre gira una storia che doveva essere un giallo con venature thriller (un serial killer di gay), sente, percepisce questa cosa senza nome e cambia le carte in tavola, rimescola tutto: toglie di mezzo il classico "whodunit?" tanto che l'assassino diventa una entità quasi metafisica.

Questo killer che non viene mai inquadrato in faccia, che ha tratti somatici simili a decine di individui, che quindi assomiglia a tutti e nessuno, si carica di un significato allegorico.
Finisce quindi per dirigere una specie di documentario su una presenza invisibile ambientato tra Central park e i club gay ma che pare ambientato appunto su un altro mondo.

Fa quindi un film livido, freddo, letteralmente *mortale* non solo per gli omicidi, ma in tutto quanto: l'approccio documentaristico, il tipo di ripresa, la fotografia e la stessa "discesa" nei club: un'orgia continua come se non ci debba essere un domani.
Una discesa negli inferi dove alberga il ghiaccio piu' che il fuoco: e' come assistere a un gelido, ininterrotto funerale.

La regia e' una delle migliori di Friedkin, in assoluto: nascosta ma zeppa di sequenze memorabili. Le carrellate laterali all'interno dei clubs sono autentici capolavori, hanno gettato i semi per una intera estetica d'avanguardia che raggiunge anche l'Europa.
La ripresa "immobile" raggiunge le sue vette formali proprio in Cruising (inventata da Hitchcock, ripresa anche da Argento): le camminate notturne sui marciapiedi, il 'cruising', appunto (cit.)
Perfetta la scelta della musica (DeVille, Germs, Egberto Gismonti).

Ovviamente Friedkin non sa nulla dell'Aids, lo intuisce semplicemente frequentando l'ambiente, probabilmente se ne parla, gia' circola, l'anno dopo (1981) assumerà i contorni epidemici ben chiari e verà coniato anche il nome, ma è questa intuizione che cambia i connotati al film.

Il film, come già detto, manca infatti completamente di "chi-ha-fatto-cosa" ed e' evidente da numerose sequenze che a Friedkin interessa soprattutto mostrare la drammatica tensione e l'inquietudine profonda di un ambiente agitato da un fantasma.
Friedkin non sa quale sia questo fantasma.
Ma sa *precisamente* che c'e' e lo mette nella pellicola.
E’ questo che e', cinematograficamente parlando, grandioso.

Il film finisce, come molti altri di Friedkin, in modo circolare, sulla sequenza della chiatta sul fiume, identica alla sequenza di apertura.

E' la poetica classica, se vogliamo anche reazionaria, dell'evoluzione del personaggio preordinata, del destino indomabile, della degradazione ineluttabile e del meccanisimo inesorabile che mette i personaggi in un tritacarne che una volta avviato non si può fermare, una catena che non si può spezzare.

Stroncato senza pietà dalla critica dell'epoca, venne rivalutato solo dopo molto tempo. Tutt'ora non è un film facile da recuperare ma è quello che si dice, un fimone...